IO MI RICORDO: ENZO FRANCESCOLI


Ho discusso animatamente con tizio, sere fa, sul perchè il figlio di Monsieur le Football (al secolo Zinedine "Zizou" Zidane) si chiamasse Enzo. Questa mosca da bar era partita in quinta spiegandomi dettagliatamente che quando Zizou stava a Torino aveva fraternizzato con un ristoratore di nome Vincenzo e quindi, in suo onore, aveva battezzato il suo primogenito così. Non Vincenzo ma Enzo, per questioni di intimità. Tutto molto bello.
Come la maggioranza dei discorsi tra sconosciuti che nascono e muoiono nell'attesa di una birra o di un cocktail o di un punch, anche questo poteva tranquillamente finire con una scrollata di spalle, ma io mi ricordo di Enzo Francescoli.


Piccola premessa: quello che adesso chiamano "El Principe" deve il suo soprannome alla clamorosa somiglianza che lo lega a questo autentico fuoriclasse uruguaiano, faccia scavata, naso aquilino e zazzera mora mossa dal vento. E Diego somiglia davvero a Enzo anche per un'altra caratteristica immediatamente riconoscibile, specie su un rettangolo verde: il passo strascicato, quasi da tango, con il quale si muovono in attesa di piazzare la zampata.
Ma sto divagando, perchè non intendo assolutamente scrivere di Milito. Almeno finchè campo.
Enzo Francescoli Uriarte nasce a Montevideo, capitale dell'Urugay, il 12 novembre del 1961.
Adesso dovrebbe cominciare la parte in cui l'enfant prodige viene scartato dalle squadre blasonate della capitale e viene scelto da una sorta di casa-famiglia che funge anche da squadra di pallone, dove mostra tutto il suo talento fino all'esplosione. Beh se vi interessa questa parte della storia ci sono wikipedia e, contate da me, almeno altre 35 pagine sul web (di cui un paio in italiano).
Preferisco invece compiere un balzo in avanti al 1983. C'è un ragazzo uruguaiano che promette bene ed è sul taccuino di parecchie società europee e sudamericane, si chiama Enzo e sopperisce con intelligenza e piedi delicatissimi ad una certa gracilità. Tra gli squadroni che mettono gli occhi su di lui c'è anche il River Plate che, come ciclicamente gli accade, versa in uno stato finanziario pessimo nonostante, come ciclicamente gli accade, venda i suoi pezzi pregiati sul mercato europeo.
Ovviamente i Montevideo Wanderers Fùtbol Club, titolari del cartellino, vorrebbero vendere il loro gioiello al miglior offerente ma Enzo, prima uomo e poi giocatore mai banale, chiarisce le cose: “Io voglio giocare al River, è una grande opportunità per me. So che si tratta di un club elegante, i cui tifosi ammettono solo chi sa giocare, chi ha uno stile definito, chi si fa notare sempre per il suo bel calcio. Per questo sono fiducioso. Credo che il mio stile andrebbe bene nel River Plate”.
Il River lo paga 50.000 dollari cash più altri benefit, utilizzando l'appoggio del Banco di Napoli, che aveva curato il trasferimento di Ramon Diàz (bandiera del River) ai partenopei pochi mesi prima.
Dove c'è qualcosa di poco trasparente, qualche italiano c'è dentro fino al collo: corollario scontato di una tesi verificata da un migliaio d'anni.
La prima stagione è in chiaroscuro perchè oltre all'inevitabile scotto da pagare per l'ambientamento ad un calcio nuovo, per sette partite, causa mancato pagamento degli stipendi, il River manda in campo la primavera. Riportati i giocatori a più miti consigli grazie all'intervento "amichevole" della tifoseria platense, Enzo e il River chiudono la stagione al penultimo posto.
Poi, in quel 1983, arriva la Copa America.
Vorrei aprire un piccola parentesi su questa competizione e cercare di capire perchè non possa essere svolta a cadenze regolari, ma credo che sarebbe una mancanza di rispetto per gli ultimi pasionari del calcio che mantengono ancora la guasconeria di potersi permettere di organizzare il torneo più importante del loro continente quando e come cazzo pare a loro. Una cosa un po' leghista, da "padroni a casa nostra", se ci pensate.
L'Uruguay è a bocca asciutta da 16 anni e, per farla breve, vince il trofeo. La formula è cervellotica come di consueto e la finale si gioca con partite di andata e ritorno. Enzo mette la sua firma nel 2-0 dell'andata con una delle sue classiche punizioni che colpiscono il portiere proprio sul suo palo.


Il morale torna alto e, in due stagioni, segna 49 reti in 67 partite, riportando, nella stagione 1985-86 e dopo 5 anni, il River sul tetto d'Argentina.
Una curiosità. Prima del trionfo nel Campionato Argentino, Boca e River affrontano la Polonia in un triangolare amichevole in ottica Mundial '86. River Plate-Polonia finisce 5-4. A una decina di minuti dal termine i polacchi conducono 4-2 ma Francescoli prima e Centuriòn poi pareggiano i conti. Guardatevi il video e vedrete il gol del 5-4. Indovinate chi lo segna?


Fino qui, si direbbe, tutto bene. Enzo ha 24 anni è un dio in Uruguay e un semi-dio (ma solo perchè il River non è "l'America") in Argentina, perchè mai dovrebbe muoversi?
E invece "El Principe" decide, anche sotto la spinta di un bel pacco di franchi francesi, di trasferirsi a Parigi al Racing Club de France.
Dopo il disastroso mondiale del 1986 (due pareggi e una sconfitta 6-1 con la Danimarca), Enzo comincia l'avventura che lo segnerà maggiormente. Lo segnerà da un punto di vista tattico, poichè l'Europa non è il Sudamerica e i nove e mezzo sono mal tollerati da allenatori esigenti che digeriscono lo spettacolo come i tori digeriscono i drappi rossi. Enzo gioca a tutto campo, diventa la stella assoluta della squadra e del campionato francese e si accasa, nell'annus domini 1989 (dopo aver vinto una seconda Copa America nel 1987) all'Olympique Marsiglia, una società ambiziosa in ascesa costante nel panorama d'oltralpe.
Rientro brevemente sul motivo scatenante di questo post. Ad osservare gli allenamenti di quell'OM c'è sempre un ragazzino di origine algerine che viene stregato dalla classe e dai movimenti del ragazzo di Montevideo. Quel ragazzino diventerà Zinedine Zidane. E così la mosca da bar è sistemata.
Ma torniamo a Enzo che si presenta ai Mondiali italiani con un titolo francese vinto da protagonista assoluto e una finale di Coppa dei Campioni persa a causa di una rapina a mano armata compiuta dall'arbitro e dal Benfica. L'Uruguay e Enzo deludono ai mondiali, schiacciati dalle aspettative, dall'ottusità dell'allenatore e dall'Italia di Totò Schillaci negli ottavi di finale. Nell'estate del 1990 Francescoli passa al Cagliari insieme ai compagni di nazionale Daniel Fonseca e Josè Herrera. "Questo è matto" è il commento più morbido nei confronti della scelta del "Principe", ma lui spiegherà poi " Volevo verificarmi nel ‘campionato dei sogni’, anche inserito in una formazione qualsiasi. E così ho lasciato Marsiglia senza perplessità. Cambiavo vita. Andavo a lottare, stanco dei giudizi di troppa gente. Sì, perchè tanto nel River Plate quanto in quattro stagioni d’Europa sono stato etichettato sempre nello stesso modo. Ripetevano che ero discontinuo, poco potente, poco al servizio dei compagni, poco socievole, molto egoista”. Uno così, dico io, non è matto è un uomo che ha capito lo spirito del suo mestiere. Uno che ha capito tutto. Francescoli, come d'altronde la squadra sarda, non ingrana e mette a dura prova la pazienza dei tifosi rossoblù. Ma Mister Claudio Ranieri crede ciecamente in lui, insiste contro tutto e contro tutti e, a fine stagione, mentre la Genova che conta festeggerà il primo indimenticabile tricolore, riuscirà incredibilmente a salvarsi. Enzo, per trovare spazi e sfruttare la sua intelighenzia calcistica, si sposta qualche metro più indietro e comincia ad agire da 10 classico. L'anno dopo a Cagliari arriva Carlo Mazzone, un allenatore e un uomo che con i fuoriclasse ci va a nozze. Enzo sente immediatamente il feeling e alla prima giornata, contro i neo campioni d'Italia, mette a segno una doppietta. Il primo su calcio di rigore, sintomo della leadership che si è costruito, e il secondo così:


È tornato l'Enzino che segna 17 goal in due stagioni e trascina, nella stagione 1992-1993, il Cagliari ad uno storico piazzamento Uefa. Poi, lasciando un pezzo di cuore ma rimanendo fedele all'uomo e al giocatore dissimile da quello che gli gira intorno, si accasa a Torino. Non nella squadra di Gianni Agnelli, che a fine anni '80 avrebbe fatto carte false per averlo, ma per i ragazzi della Maratona, per gli occhi lucidi di chi ricorda Superga, per il Toro. In una stagione da non buttare, semifinali in Coppa Italia e quarti di finale in Uefa, Enzo comincia a sentire il peso degli acciacchi e dell'età. 24 presenze, 3 gol, svariati assist e la presa di coscienza che è arrivato il momento di mantenere una promessa fatta otto anni prima: chiudere nel River Plate, il club del suo cuore. Chiude la sua parabola segnando altri 47 goals e portando il River a vincere 3 campionati Apertura (nel frattempo era cambiata la formula del campionato argentino, perchè, come ho scritto sopra, bisogna capire che laggiù hanno ancora la possibilità di fare un po' come vogliono), un Clausura, una Copa Libertadores, una Supercopa Sudamericana e aver messo in seria crisi la Juventus di Lippi nella finale di Intercontinentale nel 1996. Segna l'ultimo gol al Colon di Santa Fè, su assist di quel mezzo giocatore che si rivelerà Santiago Solari, con un colpo di testa bello ed elegante, ultima foto che ben riassume la sua carriera.


"Non sarà il calcio a lasciarmi, non mi troverà seduto. Sai che cosa? Quando arriverà quel giorno, l’unica cosa che vorrei è che dicessero: Che gran giocatore, sì, ma che bella persona! Che Beto Alonso possa dire ai suoi figli: Io ho giocato con Francescoli e non sapete che gran tipo che era. Che quando tra trent’anni m’incontrerò per la strada con Gallego o Pumpido possa salutare entrambi con un abbraccio. Perché, in definitiva, più che l’immagine e l’insegnamento calcistico che uno può lasciare a qualche bambino –poca cosa-, la cosa fondamentale è il comportamento come persona. Perché non esiste solo il calcio. Bisogna preparare la mente per saper dare un consiglio e l’animo per essere una buona persona". Enzo Francescoli

P.S. Per la stesura di questo post, fondamentale si è rivelato chi di Enzo ha già parlato in maniera molto bella ed esauriente. Quindi vi invito a buttare un occhio al sito/blog Lacrime di Borghetti ed in particolare a questi due articoli: 1 e 2.

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