PARAGONI AZZARDATI

Ci si alza in piedi solo per i Vescovi, i Cardinali, il Papa, i regnanti... i grandi regnanti!

Introducing Prof. Magneto

Conservo il vivido ricordo di due professori del Liceo.
La prima era una signora che, nonostante le quasi cinquanta primavere, cercava di invecchiare con grazia, scadendo però, ahilei! in quella che senza forse è la peggiore definizione da attribuire ad una donna che ha passato i quarant'anni e i settanta chili, ossia: giovanile.
Era una sessantottina che dopo aver battagliato contro cattedre e cattedranti era saltata dall'altra parte della barricata, e si era messa a fare la Capò.
Azzeccato il latinismo: sic transit gloria mundi e aggiungo io, da Massimiliano Robespierre in poi è cambiato poco.
Ad ogni suo cambio d'ora pretendeva che tutti gli studenti si alzassero in piedi, si mettessero sull'attenti, petto in fuori e sguardo in avanti rivolto a lei.
Mi ha rifilato svalangate di 4 per dare 8 e 9 a quelli che al tempo erano leccaculo di fama mondiale e che ora, uomini e donne in carriera, non sono nemmeno in grado di amministrare i 140 caratteri di Twitter con buona creanza linguistica e non hanno ancora capito che “un po' di cose” chiama l'apostrofo, “Po” è il fiume, e “Pò” a meno che non si consideri il gergale modenese “Zio-pò!" non esiste.

Il secondo era un professore di Chimica che dava solo 4, 6 e 8.
4 se non avevi capito un cazzo.
6 se avevi capito abbastanza.
8 se avevi capito tutto.
Severo e spietato, tanto magnanimo con i giusti quanto scaltro con i furbi.
Trovava sempre il tempo per fare una battuta, anzi, era un'inesauribile miniera di gag che, anche quando ripetute alla noia, riuscivano sempre a cogliere nel segno, resistendo persino alla prova del tempo, cosa nella quale, tanto per fare un esempio calzante, i comici di Zelig sono negati.

Scena.
Molte volte le lezioni dei due professori erano contigue, per cui quando l'una usciva, entrava l'altro che, non appena varcata la soglia, scoprendoci in piedi per obbligo reverenziale nei confronti della professoressa, sventolava in aria la sua manona sinistra facendo cenno di sederci e, con voce cavernosa, ci redarguiva bonariamente:“Seduti! Ci si alza in piedi solo per i Vescovi, i Cardinali, il Papa, i regnanti... i grandi regnanti!”
Lo sketch consisteva nel non fare assolutamente nulla per nascondere l'antipatia che nutriva verso quel gesto di intimazione e la bassa stima verso chi ancora lo sfruttava a vantaggio del proprio ego e, se poteva, lo declamava a massimo volume, che si sentisse anche in corridoio così che il messaggio arrivasse forte e chiaro al destinatario.

Herr Professor era anche un grande esperto di pallone, metafora che usava spesso per commentare le reazioni chimiche che cercava di inculcare nelle nostre teste.
Ricordo che il Milan di Sacchi era per lui un buona pietra di paragone per descrivere ossidoriduzioni e tanti altri processi di cui ora non ho più memoria.
Penso che la similitudine andasse cercata nel fatto che, fondamentalmente, si trattava di schemi che riuscivano solo se tutti gli elementi erano al posto giusto al momento opportuno e l'ossigeno chiamava il fuorigioco ogni cinque minuti.
Purtroppo però, nonostante questa sua lucida pasiòn per il football, non abbinò mai alcun esempio calcistico alla battuta di cui sopra, non arricchì mai questo suo motto con qualche altra categoria per cui valesse la pena alzarsi in piedi, che so, un qualche fantasista, un giocatore straordinario, un allenatore fenomenale...
Forse perché a lui piaceva il Milan di Sacchi, e a Sacchi non piacevano i solisti nemmeno quando lo portavano in finale ai mondiali.
Magari è per quello. 
Peccato, perché si sbagliava, anzi, si sbagliavano entrambi.

Old but gold

La stagione 2001/2002 iniziò nel migliore dei modi con Baggio capocannoniere con 8 gol dopo nove giornate. La sfortuna però interruppe il momento d'oro: rottura del legamento crociato anteriore e lesione del menisco interno del ginocchio sinistro. Il giocatore venne operato in Francia e, con una grandissima determinazione, riuscì a rientrare in campo a 77 giorni dall'infortunio (un record per il tipo d'infortunio subito), quando mancavano tre giornate alla fine del campionato.

Lo dice Wikipedia ed è più che vero.
Quello che non dice, and I wonder why, è che al fantacalcio di quella stagione, Baggio ce lo avevo io.
Politica della mia fanta-società è sempre stata quella di scegliere come terzo attaccante una grande chioccia del calcio italiano, un 10 su un viale del tramonto costeggiato di magnolie, uno di quei Diez per cui nessuno è disposto a spendere nemmeno quindicimila lire, specie se investimento e investitura sono per il ruolo di ultima punta.
Primo contro: si tratta di omini che al solo scoreggiare si fanno male.
Secondo contro: non hanno più i 90 minuti nelle gambe, non ne hanno nemmeno 60, e molte volte ne giocano senza voglia almeno 40.
Terzo e ultimo contro, strettamente legato ai primi due: a livello fantacalcistico giocatori così sono da rottamare, quasi meglio puntare su giovani bocche da fuoco semisconosciute pronte ad esplodere.
Unico pro: ma voi avete idea di cosa voglia dire prenderci?
Sputtanare fanta-danée per un giocatore per cui ti alzano l'asta sol per dispetto, portarlo a casa, dargli il 10 per acclamazione popolare, non ingabbiarlo in schemi, fargli simbolicamente battere rigori, punizioni, corner, rinvii, rimesse laterali, e godere come un porco nel fango alla constatazione che dopo una decina di giornate ha segnato più reti degli attaccanti da prima pagina che hanno i tuoi avversari?

Chiunque abbia avuto la fortuna di vedere giocare Roberto Baggio dall'inizio alla fine della sua carriera, deve ringraziare il Dio del calcio nello stesso modo in cui si recitava il Padre Nostro da bambini.
Sarebbe troppo scontato ricordare il Baggio di Torino o il Divin Codino della Nazionale.
A mio modo di vedere, anche se per lui fu una stagione di riscatto, sarebbe banale pure parlare del Baggio di Bologna e, per religione, io non parlo di cose belle accadute tra Reno e Panaro, lo faccio solo per scommesse perse o minacce di morte.
Il Roby più bello, a parte quello di cui Guzzanti ha fatto una meravigliosa parodia, è stato quello di Brescia: quello è stato il canto del cigno.



Nel 2000/01 le Rondinelle dei piccoli grandi miracoli toccarono il punto più alto della loro storia.
La stagione precedente si qualificarono per la Coppa Intertoto (che nemmeno so se esista più), forti del settimo posto raggiunto in campionato, e si arresero in finale solo contro il Paris Saint Germain.
Che poi dire “si arresero” è eccessivo.
I francesi la spuntarono per la regola del gol in trasferta che, in my humble opinion, ha un senso finché i gol significano vittorie o sconfitte e sono almeno dì più di tre per match.
Ma quando, come nel caso del doppio scontro Brescia-PSG, a Parigi l'abaco non si schiodò dagli zeri, e al Rigamonti il referto finale fu di 1 a 1, dire giusta è improprio.

Excursus per gli amanti delle curiosità e dei bilanci a consuntivo. 
In quel PSG (di cui ora, con l'Affaire Ancellotix, si fa un gran parlare) giocavano alcuni personaggi degni di qualche riga.
Primo fra tutti: Nicolas Anelka, tale e quale ad ora: finito ma immancabilmente in campo.
Poi: l'uomo d'esperienza dell'attuale retroguardia giallorossa di Luis Enrique, Gaby Heinze, che noi tutti amiamo ricordare come quello che cerca Kaka all'Old Trafford since 2007.
Infine, udite udite: Jay Jay Okocha, che non solo gioca ancora, ma s'appresta a disputare la nuova grande Premier League Indiana del West Bengala insieme a Crespo (ancora in forse), Fowler, Cannavaro, il Moro Morientes e il moschettiere Pires. Farà anche sorridere ma è tutto vero.

Quel Brescia era allenato da Carletto Mazzone (un ospite fisso degli 11 Illustri Sconosciuti) e schierava, tra gli altri, il giovane Castellazzi in porta (ora secondo dell'Inter), Calori- attuale Mister delle Rondinelle- a dirigere la difesa a tre completata dall'esperto Petruzzi e dal mio tanto odiato Bonera, i gemelli Filippini a fare legna, e il futuro Campione del Mondo Luca Toni a buttarla dentro.
Il gioco era semplice, molto Mazzoniano: pochi diktat ma eccellenti.
Ognuno nel suo ruolo naturale così che tutti corressero meno e tutti corressero meglio.
I gemelli Filippini votati a rendere il clima della partita da assalto alla diligenza.
Obbligo di recapitare il pallone al Capitan della compagnia, il solo ad aver così tanta classe che avrebbe potuto darne in sconto anche in questi tempi di crisi: Roberto Baggio.

Bene, ora torniamo al mio fantacalcio.
Baggio stava regalando emozioni fortissime a me e ai tifosi della mia fanta-squadra, oltretutto certificando la bontà della mia scelta di puntare sui Dieci d'annata.
Poi, come ben descritto sopra dall'estratto di Wikipedia, Baggio si fracassò cristo-lamadonna-e-tutti-i-santi ed io, non riuscendo a rimpiazzarlo nemmeno con un giovinastro volenteroso, dovetti a malincuore passare da uno sciagurato 4-3-3 ad un più accorto e fantacalcisticamente meno prolifico 4-4-2.
Prima che il Divin Codino si infortunasse avevo seguito in diretta tv quasi tutte le partite del Brescia, così da avere il polso della situazione del mio Robertino preferito.
Oltre a questo però, ero diventato un tifoso acquisito del Brescia perché in quella stagione, contattato da Baggio stesso, era sbarcato al Rigamonti un altro marziano: Pep Guardiola, uno che per anni era stato il faro di un Barcellona fortissimo, ma che s'era trovato costretto a riparare lontano dalla Catalogna perché diventato schiavo di un calcio in cui il fisico e la corsa erano divenuti preferibili alla tecnica e alla tattica, e in cui non trovava più lo spazio che meritava, fosse solo per onorevole anzianità e obbligato rispetto.

Mazzone lo aveva accolto a braccia aperte, affidandogli le chiavi del centrocampo e chiedendogli solo una cosa: giocare come sapeva.
Guardiola lo aveva preso in parola e s'era messo a fare quello che gli riusciva meglio: far girare il pallone che, come diceva il Barone Nils Liedholm, è l'unico che non si stanca mai.
Roby e Pep viaggiavano su frequenze che erano del tutto ignote ai comuni mortali, sembrava fossero cresciuti nel reparto “effetti speciali” degli Universal Studios, e distribuivano panem et circenses ad un pubblico che si stropicciava gli occhi ogni volta, totalmente incredulo davanti ad uno spettacolo per cui il prezzo del biglietto era fin troppo a buon mercato.

Quando Baggio dovette allontanarsi dai campi di gioco causa l'infortunio, la fascia di capitano passò, per rispetto agli Dei del calcio, a Guardiola che la conservò (tranne per i mesi in cui venne ingiustamente squalificato per doping) fino al suo ritorno, in un Brescia-Fiorentina del 21 Aprile di dieci anni fa.

Sempre Wikipedia dice che:”Nella partita del rientro, con la Fiorentina, (Baggio) segnò un gol dopo appena due minuti dal suo ingresso in campo e raddoppiò poco dopo, tra gli applausi anche dei tifosi viola.”
Ora: mettetevi nei miei panni. Io per 77 giorni ero stato privato dalla mia terza punta dal gol facile e dal 7 assicurato in pagella (perché sì, mi son dimenticato di segnalarlo, ma tra i pro di puntare sui grandi vecchi c'è il vantaggio che i giornalisti son sempre generosi nel valutarli), e oltre a questo, causa un'inesperta e scellerata gestione della mia squadra m'ero ritrovato con gli uomini contati e le pezze al culo.
I giornali dicevano che Baggio difficilmente avrebbe giocato ma che comunque Mazzone lo avrebbe portato in panchina.
Decisi di rischiare. Lo schierai pensando che:”Al massimo gioca dieci minuti, e magari ci scappa anche il miracolo e fa gol...”
Era una partita cruciale per la mia compagine, giocare in dieci avrebbe spento anzitempo i miei sogni di gloria, per cui, quando il telecronista annunciò l'ingresso di Baggio, feci un sobbalzo perché entrava il mio undicesimo. Doveva solo toccare tre palloni e la Gazzetta gli avrebbe regalato un bel 7,5 d'ufficio.
Pensò bene di toccarne due e fare due miracoli, tre, se si considera il fatto che rientrò dall'infortunio in un tempo record, specie considerando età e recidività del male.
La mia squadra vinse e io potei continuare a cullare speranze di vittoria finale.



Ma quello che va raccontato e che, come anticipato nell'introduzione non trova tanta letteratura, è quello che avvenne nel momento in cui Baggio tornò in campo.
Se siete stati attenti, ho scritto che i gradi erano stati lasciati in eredità a Pep Guardiola.



Attenzione ad ogni singolo dettaglio della diapositiva.
Un Roby attempato e nemmeno troppo magro.
Un Guardiola in perfetta forma fisica, senza barba e con tutti i capelli.
Il vecchio volpone Carletto Mazzone sullo sfondo e il quarto uomo, quello della legge, classico esempio della burocrazia italiana votata al pallone, ossia il classico impiegato del catasto con tanto di proverbiale calvizie bell'e che andata.

I due signori del calcio stavano infrangendo le regole.
Infatti, se anche il cambio fosse stato tra Baggio e Pep, quest'ultimo per regolamento non avrebbe potuto cedere la fascia a chi subentrava al suo posto. Si nomina un vice-capitano in campo proprio nell'eventualità che il capitano non termini la gara. Ma Guardiola, intuendo l'importanza e la bellezza del momento, corse incontro a Baggio e gli rese la DI LUI fascia, quella con colori e simboli buddisti, dicendogli:”Tieni, questa è tua.”.
Le agenzie di stampa straniere avrebbero battuto la notizia dei due gol del campione (e di solito si muovono solo per guerre, terremoti, profezie di Standard & Poor's.) ma non dissero nulla su questo bellissimo frangente di sport. Anche giornali e tifosi vi si soffermarono poco e niente.
Un'illustre sconosciuta, spero converrete.

Ad ogni modo, sia l'arbitro che il quarto uomo, se la memoria non mi inganna, cercarono di vietare questo contrabbando di gradi, ma Guardiola non volle sentir ragioni né Baggio poteva rifiutare un così bel gesto.
Lo stesso Sor Carletto cosa poteva dir loro? Cosa poteva dire a due così? "No, non potete farlo!"?
In campo avevano e avrebbero spiegato calcio esattamente come un buon Chianti racconta colori e profumi delle terre che vanno da Siena a Certaldo; era il minimo condonare loro questa volontaria infrazione, a maggior ragione se poco dopo Baggio avrebbe fatto cadere in deliquio, per dirla con Stendhal, tutti quelli che avevano avuto la fortuna di seguire l'ultimo quarto d'ora di Brescia-Fiorentina.
Ora capite? Il mio caro professore s'era sbagliato perché non aveva aggiunto al suo adagio alcun esponente del Gotha del calcio italiano ed europeo.
Ci si alza in piedi solo per i Vescovi, i Cardinali, i Papi, i regnanti, i grandi regnanti... BAGGIO E GUARDIOLA!

Favola della buonanotte

Roma, Maggio 2009.
Alla viglia della finale di Champions League tra Barcellona e Manchester United, Mazzone ricevette un'inaspettata telefonata.
“Ma chi parla?”
“Sono Pep Guardiola”

Carletto pensava ad uno scherzo, non credeva potesse essere veramente lui a chiamarlo, e per di più per invitarlo personalmente ad assistere alla sua prima finale da allenatore. Mazzone si commosse profondamente, ripensando a quando Guardiola era "solo" uno dei suoi ragazzi di Brescia.
Il suo commento fu:"Pep è stato meraviglioso."

Qui l'audio-video del momento.


Da lì in poi Guardiola avrebbe vinto tutto e probabilmente continuerà a farlo ancora per molto tempo, avendo a disposizione una squadra (e lo sanno anche gli stupidi del villaggio) pazzesca.
Un po' però, se ci si pensa, lui e il Barcellona ricordano Mazzone e, sparo in alto, il Brescia di Baggio.
Correre poco ma bene, colpire con intelligenza le caviglie dei dirimpettai di metà campo, far viaggiare il pallone il più possibile e recapitarlo agli extraterrestri del caso: i robertobaggio di adesso, e poco importa se sono spagnoli o argentini, la classe non ha nazionalità.
Magari è un'idea solo mia, ma vedo tanto della mano di Sor Carletto nell'idea di calcio di Guardiola, ed è bello pensare così, pensare che il più grande Barcellona di tutti i tempi sia nato in provincia, quando Pep s'era calato con umiltà nei panni di chi, pur essendo conosciuto da tutti, era molto meno illustre di quanto meritasse.
In fondo era così pure il Brescia di quegli anni, un incrocio di storie che son parse minori esclusivamente perchè trascurate, ma dal peso specifico incalcolabile, davanti alle quali alzarsi in piedi, mettersi sull'attenti e riverire, in quel caso sì (altro che la professoressa sessantottina), riverire ogni eccezionale interprete delle stesse: fantasista, giocatore straordinario o allenatore fenomenale che fosse.

Due ultime postille a conclusione del papiro.
Uno. Le prodezze di Baggio non bastarono ai miei fanta-ragazzi per aggiudicarsi la coppa. Arrivarono terzi, ma la medaglia di bronzo fu un piazzamento onorevole e fece salve panchina e dirigenza.
Due. L'illustre paragone tra Guardiola e Mazzone è quantomeno azzardato, forse sbagliato, quasi sicuramente (e me lo auguro!) inedito.
In ogni caso, per quanto possa essere credibile riconoscere in Carletto un mentore di Guardiola, per fortuna, o forse per sfortuna, non lo è stato in tutto.



Credo non vedremo mai Josep il filosofo esibirsi in uno spettacolo del genere.
Peccato però, veramente un peccato, forse è il più grande difetto di Guardiola. Potrebbe rendere più umano lui e più terra-terra un Barcellona che, a furia di vincere con scarti abissali contro chiunque, non sta più così simpatico a nessuno.

PS Personalmente ritengo la corsa di Mazzone una delle cose più rock'n'roll mai viste. Vorrei non finisse mai, vorrei rivederla in loop almeno una giornata.

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