C'è solo un modo
per far gol a Bert Trautmann, ed è ciccare la palla.
(cit. Neil Young,
centrocampista del Manchester City degli anni '50 e a tempo perso
Rock Star)
Quando si parla di
Manchester si tira in ballo -e credetemi, io ci sono stato- una città
che respira e vive di due cose: calcio e musica.
Per quanto parlerei
all'infinito del secondo argomento, se in questa sede mi tratterrò
dal farlo è solo per non incorrere nell'ira funesta del mio compagno
di banco, che mi aspetterebbe al varco del Bar Motta pronto a
vomitarmi addosso un rosario di insulti senza pari nella storia
dell'homo sapiens varietà cittadinus.
E dato che questo già
succede con regolarità senza che mi ci metta troppo di impegno,
preferirei evitare un overbooking di vaffanculo e lasciare spazio al
football, o sarebbe meglio dire: al fussball.
Già, non ho scritto in
tedesco perché preso da un romantico rigurgito di Sturm und Drang
fuori stagione, l'ho scritto con consapevolezza.
Ma c'è troppa carne al
fuoco: un passo alla volta.
Per prima cosa mettiamo
indietro l'orologio alla fine della Seconda Guerra Mondiale, fermiamo
le lancette qualche anno dopo la resa della Germania; diciamo il
1949.
Una volta risposto alla
domanda “quando diavolo siamo?”, decidiamo con quale parte
di Manchester fare all'amore, e scegliamo la sponda blu cielo, quella del
City.
Quarantamila
manifestanti, al grido di OFF THE GERMANS, protestano nelle piazze della città del Nord Ovest inglese contro la
discutibile scelta da parte della dirigenza del City di ingaggiare
quel che si dice essere un formidabile portiere, un ragazzone tedesco
che viene da un campo di prigionia del Lancashire.
Bernhard Carl Trautmann,
nato a Brema nel 1923, è infatti un veterano di guerra (qualcosa
come cinque medaglie al valore tra cui La Croce di Ferro; senza entrar
nel merito dell'Ars Bellica, se tutti i generali di Hitler avessero
avuto questo curriculum ora parleremmo tutti crucco), fatto
prigioniero dalle forze inglesi nel 1945.
Occorre però una breve
digressione, che tanto breve, lo saprete già, non sarà.
Avete mai visto Steve
McQueen ne “La Grande Fuga”?
Ecco, immaginatevi il
santo patrono di tutti gli ubriaconi al contrario, fatelo parlare nella lingua di Goethe e sarete molto vicini alla descrizione del Trautmann
paracadutista della Luftwaffe.
Bernd, perché così
veniva soprannominato dai commilitoni, nella sua carriera militare
ebbe infatti azzardo e fortuna sempre dalla sua parte.
Sopravvisse a un
bombardamento in Olanda sepolto sotto le macerie di una scuola rasa al suolo,
rimase illeso al brillare di una una bomba che gli esplose alla
distanza di un dito, venne catturato dagli alleati cui riuscì sempre
a sfuggire, e la fece in barba pure agli americani, dileguandosi
davanti ad un plotone di esecuzione che non aspettava altro se non di spedirlo senza troppe cere nel Valhalla.
Poi, perché va sempre a
finire tutto nel più sarcastico dei modi, mentre scappava dai
soldati del fottuto Zio Tom pronti a fucilarlo, saltò una siepe e, nel cadere,
si ritrovò davanti al più classico umorismo di oltremanica di due soldati inglesi che non credettero ai propri occhi:”Hello
Fritz, fancy a cup of tea?”
Proprio come nel film di
Sturges, Bernd venne tradotto in un campo ad Ashton, paese della
Greater Manchester che deve avere un qualche legame esoterico con il
mondo del pallone, considerando che ha dato i natali a due Campioni
del Mondo: Geoff Hurst nel 1966 con l'Inghilterra, e Simone Perrotta
quarant'anni dopo con l'Italia, guarda caso, a Berlino.
Come direbbe Max Collini
degli Offlaga Discopax:”Se uno ci pensa, non ci può credere”,
perché che nascano due Campioni del Mondo nello stesso sperduto
paese già è difficile da per sè (ma potrebbero essere fratelli, e allora ok),
ma che pure giochino per due Nazionali diverse, beh, è più facile
far crescere i mirtilli a bordo della tangenziale est di Milano.
Ad ogni modo, durante una
partitella tra la rappresentativa galeotta della prigione e una
squadra amatoriale della zona (l'Haydock Park), Trautmann,
centrocampista di quantità, si fece male e chiese di giocare in
porta.
Non lo avrebbero più
tolto dai pali, nemmeno rompendogli l'osso del collo.
Bello spoiler,
questo!
In questo nuovo ruolo
l'ex-paracadutista si mise in evidenza agli occhi di una guardia che di secondo mestiere scovava talenti, e un club della Merseyside gli
offrì un contratto.
Bernd diventò Bert
perché gli inglesi parlano bene solo la lingua madre e già fanno
fatica a pronunciare due consonanti in fila, figurarsi tre, e per di
più nella lingua del nemico, e divenne la principale attrazione del
posto.
I ragazzi del Saint
Helens Town, grazie alle prestazioni del proprio portiere,
approdarono alla finale di un torneo locale, la Mahon Cup, e le gesta
di Trautmann fecero stabilire un record di presenze straordinario: un
attendance di 9.000 unità.
Ora però facciamo
qualche passo in avanti e torniamo nella Rainy Manchester presa da
assalto da un esercito di Citizens indiavolati causa la controversa
scelta di ingaggiare un Nazista per difenderli dagli assalti pedatori
degli avversari.
Ripeto: i giornali
dell'epoca parlarono di una folla di quarantamila mancunians
incazzati come jene, poi probabilmente per le Forze dell'Ordine si
trattava di quaranta disadattati e per i Sindacati di
quattrocentomila lavoratori vessati, rimane vero che anche solo
accennare ad un numero così alto di contestatori per l'acquisto di
un portiere è rob de matt, converrete!
Però, in fondo, è
comprensibile.
È un'Inghilterra che ha
vinto la guerra, forse la più sanguinosa mai combattuta, ma è pur
sempre un paese stremato i cui reduci e i cui abitanti
cancellerebbero di buon grado dagli atlanti di geografia la Germania
e qualsiasi altro riferimento al Reich.
Invece la dirigenza del
City sta imponendo a figli e ai fratelli di questa guerra di
accettare tra i propri colori un ex-soldato della Wehrmacht: ovvero
come farsi appoggiare il culo in faccia da un bastardo merdoso.
E, come se non bastasse,
Trautmann è chiamato sostituire il beloved Frank Swift, idolo
di grandi e piccini, cui la sorte (alla quale, come accennato prima,
non manca il senso dell'ironia) avrebbe riservato anni dopo
un'incredibile fatalità. Il portierone blues di
lungo corso sarebbe infatti morto in Baviera (in Germania, e dove sennò?
sempre più ingarbugliata questa trama) nel disastro aereo di Monaco,
a seguito come giornalista, del primo (pensate un po'!) Manchester
United di Sir Matt Busby, quello che per definirlo bisogna andare in
prestito delle parole di Manuel Agnelli e riferirsi ad esso come ad
“una delle più belle cose mai successe”.
Tuttavia i tifosi del City si rassegnano davanti alla decisione presa, il capitano Eric Westwood, veterano della Normandia, cerca di imbonirsi pubblico e stampa:”there's no war in dressing room”, ma di armi e di guerra molto spesso ne capiscono solo chi le armi e la guerra le ha viste e vissute in prima persona, per cui non bastano queste parole per placare la rabbia e l'astio dei tifosi, e Trautmann deve dimostrare tutto sul campo se vuole scucirsi di dosso l'etichetta del passato scomodo e ingombrante che volente e/o nolente gli è toccato.
Debutto col Bolton e in
un amen a Manchester si ravvedono tutti: il tedesco è un talento
fuori dal comune. Partita dopo partita i tifosi scoprono che il
paracadutista Trautmann è sceso dal cielo d'Inghilterra non
solo con la manna ma con l'intero kit dei miracoli.
Per uno abituato a
lanciarsi dagli aeroplani tedeschi su città in fiamme, volare da un
palo all'altro è uno scherzo da bambini, e fiondarsi contro gli
attaccanti in corsa non è nulla per chi più volte ha teso le
braccia, ha afferrato la sorte e le ha schiaffeggiato la faccia (sì, non è mia).
Ma la vera montagna da
scalare è un'altra, il vero problema per Trautmann
è mettere piede a Londra. I tifosi del ManCity hanno ormai imparato
a conoscerlo e lo portano sul palmo della mano, ma i londinesi,
ancora scossi dal ricordo della battaglia combattuta sul loro cielo e
con ancora negli occhi una città devastata dai bombardamenti dei
caccia dell'Asse e dai V2 lanciati dalla famigerata base di Peenemunde, sono ansiosi di gridare al portiere dei Blues cosa
pensano di lui, del suo cazzo di Reich e delle sue maledette bombe.
Tanto per fare un
paragone, se Bert fosse stato Harry Potter, sarebbe stato
contento di battagliare contro Voi-sapete-chi, e probabilmente
avrebbe preferito farsi ammazzare, piuttosto che andare a Londra e
giocare a pallone.
Nel 1950, a Craven
Cottage, casa del Fulham, stampa e pubblico presenti hanno messaggi
semplici e chiari da recapitare all'indirizzo di Trautmann: Nazi
e Kraut sono tra i più gettonati,
e vengono intervallati da altri nomi quali razzista, assassino e genocida.
Tuttavia il calcio può garantire
poche cose, specie se sei un esule e per di più odiato come la peste
bubbonica, ma le occasioni di rivincita sono una di quelle, e molto
spesso hanno il sapore di qualcosa di straordinario.
Bert,
chiude la porta a doppia mandata, diventa man of the match ed
esce tra gli applausi convinti dei sostenitori di entrambe le
squadre.
Il
pallone non aveva avuto solo la magia di aver salvato Oliver Hutton
da un camion, ma pure l'incanto di aver affrancato un ex-nazista
dinnanzi ai suoi più acerrimi nemici.
Ma la favola non finisce qui.
Bert
diventa il beniamino del City e nel 1955 assaggia per la prima volta
l'erba del glorioso campo di Wembley per la finale di coppa, primo
tedesco a poterlo dire.
I Blues perdono 3 a 1 contro il Newcastle, ma
sono una Signora Squadra e si costruiscono la possibilità di rifarsi
l'anno dopo, questa volta contro il Birmingham City.
Il
Man City gioca un calcio che in Inghilterra va molto di moda, basato
su un sistema (al tempo si parlava di “sistemi” e non di
“schemi”), detto il Revie Plan, dal nome del suo principale
interprete, l'istrionico e ambiguo Don Revie (per maggiori
informazioni guardare il film “Il Maledetto United”) che prevede
la costruzione del gioco intorno ad un'unica punta, Revie, beninteso.
Vi
chiederete cosa voglia dire, dove stia la difficoltà di questo
schema.
Me lo
sono chiesto anche io, è mi son dato la risposta più ovvia, che
nove volte su dieci è anche quella più giusta.
Nel 1950 il
calcio dei Maestri inglesi viene da decadi di gioco basilare e
semplice.
Rilancio
del portiere, colpisce di testa il giandone di turno, la palla
finisce ad uno stornello qualunque che con una sassata dal cortile di
casa sua prova a fare gol.
L'allenatore
del City Les McDowall lo “rivoluziona” investendo l'attaccante
Revie di un ruolo insolito, quello che Gianni Brera ribattezzerà in
Italia con il nome di CENTRAVANTI, il quale deve farsi consegnare un
pallone possibilmente filtrante da un cursore di fascia, tanto per
intenderci: “la classica ala”, passarla al primo uomo libero (quello che
ora è conosciuto come incursore), o buttarla dentro “con quanta ne
ha", come si dice nei bar delle mie parti.
Intuirete
che questo “sistema” prevede un ritmo di corsa e di pensiero
elevati, nonché un'incalzante e vivace velocità d'azione.
La
cosa strana è che lo stregone McDowall trova proprio nel portiere
Trautmann il suo grimaldello di tecnica e tattica, il punto di partenza per il
Revie Plan.
Al ragazzone tedesco infatti non è sfuggito lo stile di gioco di un altro
grande portiere del suo tempo, Gyula Grosics, estremo difensore della
Nazionale Ungherese e del Ferencvaros, il quale preferisce avviare il
gioco con le mani anziché tirando campanili alla viva il parroco e
chi s'è visto, s'è visto.
Trautmann
con le mani fa quello che vuole e, sopratutto, quello che ogni altro
portiere -a parte Grosics- non è in grado di fare.
Caso
vuole che nella gioventù hitleriana si sia specializzato in due
discipline particolarmente adatte per lo sviluppo di arti che nel
gioco del calcio erano ancora sottovalutati: pallamano e palla
prigioniera.
Sapete qual'è l'inglese per quest'ultimo sport:
DODGEBALL!
Vuole
dire: riflessi esagerati e un braccio in grado di far invidia ai
falegnami canadesi e alle schiacciatrici di Pavullo.
Bert
lancia la palla con precisione balistica sui piedi di ali rapide come
la puzza, le quali dribblano difensori sorpresi e sprovveduti, la
consegnano bell'e che pronta al centravanti Revie che segna quando,
come e dove vuole.
Con
questo sistema il City si presenta a Wembley nel 1956, per la sua
seconda finale di F.A. Cup.
A
venti minuti dalla fine i Citizens conducono per 3 a 1 e il Birmigham
decide di giocarsi il tutto per tutto, lanciandosi in attacchi
all'arma bianca. Al 75' Trautmann si trova a tu per tu con Peter
Murphy proiettato a rete, non ci pensa due volte e si getta sul
pallone ricevendo in cambio una fortissima ginocchiata sul collo, una
botta tremenda, di quelle che le sentono anche i sordi. Il tedesco
s'accascia a terra, infortunato e stordito; dopodiché, non senza
difficoltà, si rialza in piedi. Questa volta è evidente, questa
volta non è uscito illeso dallo scontro, tuttavia rimane in campo,
anche perché non sono previste sostituzioni, e gli avanza il tempo
per compiere un altro intervento prodigioso nuovamente sullo
scatenato Murphy.
Il
Manchester City vince 3 a 1, e Trautmann diventa idolo del City per
l'eternità, e quell'intervento viene tutt'oggi considerato come il
miglior salvataggio mai compiuto nella storia della F.A.Cup.
Al
momento della consegna del trofeo, il Principe Philip chiede al
portiere come stia, e l'inossidabile combattente risponde che è
tutto ok, che ha solo un po' di torcicollo.
Alla
faccia!
Tre
giorni dopo, avendo la testa completamente bloccata, Trautmann decide
di farsi vedere da uno bravo davvero un bel po' (come direbbe il mio
odiato Ligabue), il quale scopre con sua grande sorpresa che il
tedesco, ancora una volta, è vivo per miracolo.
Il
referto è di cinque vertebre incrinate, di cui la seconda
completamente rotta. Fortunatamente per Bert, la terza di queste s'è
incastrata con i due pezzi della seconda, e questo rocambolesco caso
gli ha salvato la vita per l'ennesima volta.
Tuttavia, come per ogni
buona storia che si rispetti, laddove sono luci, là sono ombre, e
quella di Bernhard Trautmann non fa eccezione.
Dopo l'operazione al
collo, Bert ebbe grandi difficoltà a riprendersi e, nonostante abbia
continuato a giocare fino al 1964 totalizzando quasi seicento
presenze con la maglia del City, non fu mai più quello di prima.
Ma
non è solo questo.
Quello che ha fatto è
entrato di pieno diritto nella leggenda e i quarantasettemila tifosi
del Maine Road che vollere tributargli l'ultimo saluto prima che
si ritirasse, oltre a rappresentare una curiosa legge di contrappasso
terrena “al contrario” (ricordate la folla oceanica di pari
numero che lo accolse agli inizi della sua avventura coi Citizens?) ne furono la più lampante dimostrazione.
E ancora: di Trautmann non si
possono nemmeno dimenticare le sue immense qualità di portiere e la
sua abilità nel parare i calci di rigore, una percentuale del 60%,
come dire che è più facile vincere a testa o croce.
Famosa è la frase
di Sir Matt Busby (di cui ho già parlato nel presente articolo, e se
non sapete chi sia, andate davanti allo specchio e ditevi:”Sono
un imbecille”):”Don't stop to think where you're going to
hit it with Trautmann. Hit it first and think afterwards.
If you look up and work it out he will read your thoughts and stop
it.”
Credo che questa
raccomandazione sia intuibile anche per chi non sia pratico della
lingua di Sua Maestà, comunque vuole dire:”Prima tira,
poi pensa a dove tirare”.
Tuttavia
anche quello che non ha fatto o che ha fatto male deve entrare
a far parte della sua storia perché risponde a un principio fisico
di reazione uguale e contraria, e non può essere trascurato.
Tra i
suoi racconti incompiuti meritano spazio molti aneddoti e il primo di
questi riguarda la sua mancata convocazione nella Nazionale della
Germania Ovest.
Nel
secondo dopoguerra la Rappresentativa tedesca venne bandita dalle
competizioni internazionali per dichiarato e autoreferenziale senso
di antipatia dei vincitori della guerra. Venne esclusa dai Mondiali di Calcio del
1950 in Brasile e fino al '54 disputò amichevoli solo contro le
vicine Svizzera ed Austria, e contro la Turchia, la sua futura sorella
eurasiatica.
Venne riabilitata agli occhi dell'opinione
internazionale solamente dopo una partita contro l'Irlanda (facente
parte del Regno Unito, e come tale ex-nemico di guerra); da lì, come
segno di rispetto e ritrovata distensione, il colore della seconda
casacca della Germania Ovest divenne il verde.
Lo sapevate? Io no, ve lo giuro. E sempre per una strana questione di coincidenze, verde era anche la maglia di portiere di Trautmann, ed è tuttora dello stesso colore.
Lo sapevate? Io no, ve lo giuro. E sempre per una strana questione di coincidenze, verde era anche la maglia di portiere di Trautmann, ed è tuttora dello stesso colore.
Nel
1954, in Svizzera, i crucchi guidati dall'epico Fritz Walter (quello
che giocava bene con la pioggia e male col sole) batterono in finale
una Nazionale magnifica, l'Ungheria di Ferenc Puskás, una squadra
che, tanto per capirci, nei gironi aveva schiantato i futuri Campioni
del Mondo per 8 a 3.
Questa
vittoria passò alla storia del calcio come “Il Miracolo di Berna”,
e fu riconosciuto come una delle principali ragioni di riscatto
sociale ed economico della Repubblica Federale di Bonn, qualcosa che andò oltre il calcio, permettendo alla Germania di riacquistare quella fiducia in sé stessa andata smarrita tra gli orrori del Nazismo e le ceneri della Guerra.
Trautmann in Svizzera c'era, ma solo col cuore.
L'allenatore
Herberger non era stato disposto a convocare chi non giocava in una
qualche squadra tedesca e l'unica che provò a contrattare l'ex
soldato di Brema fu lo Shalke 04 cui il City rispose picche, e cui
chiese tanti Marchi da mandare al collasso l'intera economia di
Gelsenkirchen, something like:”Vogliamo venti volte il suo
valore”.
Giusto
per curiosità, le uniche partite fuori da Manchester che Bert
disputò furono con un “Special XI” da egli stesso capitanato,
che includeva giocatori del City e dello United (giusto per dirne
due: Bobby Charlton e Denis Law: aggiungeteci George Best e otterrete
la United Trinity), e con una rappresentativa inglese di giocatori
senza sangue british.
Dette
le cose non fatte,
veniamo a quelle fatte male.
Va
raccontato di come Trautmann non fosse propriamente uno stinco di
santo, anzi.
Venne più volte espulso e squalificato per mattane e
nervosismo, non accettava critiche nemmeno quando, come diceva al
tempo il suo amico Stan Wilson:”He was picking at
daisies”, riferendosi a tutti
i gol incassati per mancanza di voglia e di concentrazione, e stabilì
pure il record di reti subite in una sola stagione dal Manchester City: cento!
Doppio primato se si pensa che gli attaccanti dei Citizens ne fecero
altrettanti nello stesso campionato. Da noi si dice:"Andare a farfalle", ma anche "raccogliere margherite" è carino.
Qui un video bellissimo del suo ritorno a Manchester tanti anni dopo.
Quando piange, quando un crucco piange, fa sempre strano.
Quando piange, quando un crucco piange, fa sempre strano.
È curioso. Girano film su storie minori e personaggi peggiori, tutte al
netto di quello che, tanto per ripetermi la millesima volta, non hanno fatto o hanno fatto
male.
Del
paracadutista portiere non ha ancora parlato nessuno, e dire che è
stato un uomo vero ed un giocatore straordinario. Pregi caratteriali
e calcistici eccezionali, e difetti comuni, quelli che lo hanno reso
solamente più umano e più interessante che, si sa, come canterebbe
una grande Rock Star tifosissima del City da tempi non sospetti:”True perfection has to be imperfect”.
E alla fine ce l'ho fatta a
parlare della musica di Manchester: non vogliatemene!
Il
titolo della pellicola sarebbe semplicemente “Bert Trautmann” e
la tag-line non potrebbe essere altro che “Dalla gioventù
hitleriana a Cavaliere dell'Impero Britannico, da invasore ad eroe”.
Tuttavia gli eroi incompiuti e difettosi sono un soggetto difficile
da sceneggiare, e forse, proprio per questo motivo non abbiam mai visto né vedremo mai
alcun film su Trautmann.
Meglio così, non ne avremmo potuto parlare sugli 11 Illustri Sconosciuti.
“Sono esistiti
solamente due portieri di livello mondiale. Uno è stato Lev Yashin,
l'altro il ragazzone tedesco che giocava a Manchester”
(Cit. Lev
Yashin).
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