FICKEN, ARBEIT, CHRISTSOZIAL. TUTTO SOTTO LO STESSO CAPPELLO.

a Maurizio Milani, comico, scrittore surreale e "matto" vero

UNA STORIA MESSA LI' TANTO PER FARE

Una volta stavo tornando da Amsterdam e in aereo mi siede di fianco un ragazzo milanese ancora palesemente sotto l'effetto di narcotici/stimolanti/eccitanti e chi più ne ha più ne metta. Lo capisco al volo che vuole sfogare la sua alterazione attaccandomi una pezza disumana.
Mentre penso alle tattiche per zittirlo in tempo zero, lui parte in quinta sorprendendomi amabilmente.
"Oh bella zio! Di dove sei?"
Faccio per rispondere, ma non c'è verso.
"Cioè io sono appena stato ad Amsterdam (bella forza penso io, l'aereo parte proprio da lì), ma che figata è?"
Provo ad inserirmi nel discorso, ma la palla ce l'ha lui e io devo solo cercare di difendermi come posso. Sono in balìa degli eventi.
"Tutti questi barconi, cioè lì nei canali, ma che storia sono? Cioè te vai, ci suonano sopra, hai capito? Cioè cominci una festa ma sei sull'acqua! Sull'acqua porcogiuda! Sono dei fuori totali questi olandesi. Gli orange! Ahahahah! Gli orange sono dei fuori totali! Ma cioè, come ti viene in mente che fanno delle feste sui barconi? Ma che fuori sono? Ahahahah"
Giocoforza sorrido, forse solo nella speranza che smetta. Ma è evidente che quello che si è preso non gli scenderà tanto in fretta.
Mi tende la mano.
"Oh zio, io mi chiamo Andrea. Ma tutti mi chiamano L'Andrea. Che storia eh? E tu? Come fai di nome?"
Stavolta riesco a rispondere.
"Sono Matteo - shakero la sua mano - piacere Andrea."
"E di dove sei Matteo?"
"Sono di Riccò, appennino modenense."
"Appennino modenese? Mmmmmmm." Sta riflettendo. Immagino che la geografia del suo cervello sia un bel puzzle colorato e che non ci sarà verso per lui di mettere insieme appennino e modenese. Perciò provo a dargli un aiuto.
"E' un paese molto piccolo, è ad una quindicina di chilometri da Maranello. Hai presente dove è nata la Ferrari?"
Tenetevi forte perchè qui c'è da divertirsi.
"Maranello? Ma sei fuori zio? La Ferrari la fanno a Monza, figa."
"No Andrea, ti sbagli di grosso. La Ferrari è di Maranello."
"No zio! Te sei fuori! Come fa ad essere di Maranello se la pista è a Monza? Ma dai! La Ferrari è di Monza. Poi è rossa, come il colore del Monza. Cioè, è per forza di Monza. Ahahahahaha. Sempre simpatici voi emiliani! Ahahahah."
Sprofondo in un silenzio di tomba, mentre lui continua a parlare e a spiegarmi di quanto sia stato fico il suo soggiorno ad Amsterdam e di quanto siano fuori gli orange fino al nostro arrivo ad Orio al Serio.

un fenomeno vero

DUSSELDORF, KAISERSLAUTERN, BREMA: UN RESTEFICKEN DI TROFEI

Cos'è un "resteficken"?
A parte che mi ride anche il culo a scriverlo e a spiegarlo, il "resteficken", parolona teutonicissima, è una pratica che tutti gli uomini (e perchè no anche le donne) lettori di questo blog hanno sperimentato almeno una volta nella vita. Ne conosco alcuni che ne hanno fatto una vera e propria raison d'etre.
Tradotto letteralmente (o forse no) significa "scopare quello che resta". E scopare non nell'accezione dello spazzare in terra. Molte volte si può arrivare alla fine di una serata senza aver ancora battuto il martello sull'incudine e allora... Beh ci siamo capiti.
Adoro quelle lingue, tedesco e inglese in primis, che riescono a dare un nome alle azioni e alle sensazioni in maniera così onesta, prescisa e puntuale.

a volte esistono notti che non esistono

Dico la verità, non è che mi sia documentato troppo sulla vita da giuocatore del protagonista di questo articolo. Me lo immagino come difensore centrale arcigno e cane quanto basta, ma non sono questi sono i collegamenti che mi suscitano il suo nome e il suo faccione segnato da birre e imprecazioni irripetibili.
Ma quindi? Chi sarà il protagonista? E l'assassino?
Il primo indizio ce lo vuole dare il ragionier Ugo Fantozzi matricola 7829/bis. .

e fatevele due risate

Otto, perchè evidentemente di nome fa Otto, Rehhagel è il nostro eroe di giornata.
Giocatore a quanto pare mediocre, è l'Otto allenatore che siamo tendenzialmente obbligati a prendere in considerazione. Che i suoi miracoli li ha fatti in quella veste lì.
L'inizio è duro: tra il 1974 e il 1978, alla guida di Kickers Offenbach, Werder Brema e Borussia Dortmund, il nostro colleziona solo figure da cane impagliato. Da ricordare, sulla panchina dei gialloneri che adesso tutti invidiano in Europa, un clamoroso rovescio 0-12 (non avete letto male zero a dodici, come Benetton) contro il Borussia Mönchengladbach. Lasciamo perdere che si trattasse di un Mönchengladbach indimenticabile, quello delle coppe dei campioni e che lanciò Lothar Matthäeus, ma 12 gol di scarto sono una cosa fuori da ogni bollo. Persino i Pollos Hermanos sono riusciti a fare meglio e a perdere solo con 11 gol di scarto...

quando perdi 19-8, dovresti avere la buona creanza di tacere

Düsseldorf: i primi passi

Nella stagione 1978-79 Rehhagel riesce nella titanica impresa di salvare dalla retrocessione in Zweite Liga il derelitto Arminia Bielefeld e comincia a guadagnarsi un minimo visibilità tra gli addetti ai lavori.
La stagione successiva Otto si sposta un pelo più ad ovest e lo troviamo alla guida del Fortuna Düsseldorf, squadra che nella stagione precedente aveva alzato la Coppa di Germania. Si trattava del secondo titolo per i biancorossi concittadini del mostro, il primo conseguito nel dopoguerra poichè nel palmarès compare anche una Bundesliga vinta negli anni in cui Adolf Hitler stava sostanzialmente prendendo il potere.
Rehhagel eredita una squadra di onesti faticatori che non avranno problemi a salvarsi e che, perse al primo turno contro i Glasgow Rangers ogni velleità in Coppa delle Coppe, punteranno nuovamente tutto sulla coppa nazionale.
Dopo aver fatto wurstel e krauti di Borussia Neunkircken (4-0 a domicilio), Wacker 04 Berlin (2-0), SV Goppingen (4-1 fuori casa) e Karslruher (5-3 sempre fuori casa), il destino riserva a Otto due vendette saporite. Ai quarti il Fortuna demolisce i Kickers Offenbach per 5-2 e in semifinale ha la meglio sul Borussia Dortmund per 2-1, arrivando così all'atto finale contro lo 1.FC Köln (che da ora in poi chiamerò Colonia per rendermi la vita più semplice) che si sarebbe disputato il 4 giugno 1980 al Parkstadion di Gelsenkirchen.
Il Colonia non è avversario morbido, tant'è che tra le sue fila può contare sulla testa matta di Bernd Schuster, sul fosforo di Pierre Littbarski e sulle manone e sul buon senso di Harald Schumacher.
In sostanza il Fortuna non parte con ifavori del pronostico, ma l'uno-due assestato da Wenzel (60') e Thomas Allofs (65') ribalta l'iniziale vantaggio del Colonia e lascia il trofeo nella medesima bacheca dell'anno precedente.

i gol a 3:10 e 4:25

Brema: la saga di Addolorato

Ci vuole della fantasia per capitare a Brema. Non fraintendetemi, la città è bella, cordiale e offre spunti interessanti, ma di sicuro non figura nell'ipotetica top 100 delle mete più ambite che ognuno di noi ha o dovrebbe avere.
Un mio amico d'infanzia decise che lì avrebbe chiuso un periodo di tribolazioni causate dall'infausto triello fine di un rapporto+crisi esistenziale post adolescenziale+famiglia pesante. Enrico detto Baderro detto Erik, che qualcuno di voi conoscerà anche di persona e/o come bassista notevole, tornò rigenerato e con un tatuaggio incomprensibile e bellissimo sull'avambraccio sinistro.

"O zio, io domani vado a Brema"

Io invece ci capitai, insieme all'inseparabile Paolo Gianaroli, per i preliminari di Champion's League che precedettero l'infausta, per me e per il mio amato Doria, stagione 2010-2011. Prendemmo tre pere (una delusione da niente se pensate a come è finito il ritorno) ma passammo delle belle giornate in un centro storico fatto di costruzioni che sembrano dover bucare il cielo e richiami ai musicanti di Brema in ogni dove. Tra l'altro ho il vago ricordo, e qui Giana può smentirmi brutalmente o gioire per le mie capacità mnemoniche rimaste intatte, che in quasi tutti i bagni dei pub/bar/ristoranti figurasse il disegno della silhouette dei quattro musicanti suddetti.
In ogni caso bella Brema, una bellissima sorpresa. Non come Hannover che assistette ad una vergognosa pagliacciata, ovviamente tra me e Giana, esattamente a metà tra una lite tra donne del ghetto e una sceneggiata napoletana alla Mario Merola. Per intenderci volevamo picchiarci (chiaramente tutto scaturì da motivi che definire futili è superfluo) ma tecnicamente riuscimmo solo a rotolarci per terra mulinando braccia e gambe e venimmo cacciati fuori dal più brutto pub che la città di Hannover potesse offrire ai, pochi presumo io, turisti che la visitavano.
Italians do it better, non c'è che dire.

se la mascotte della tua città sono 4 animali messi uno sopra l'altro, beh potresti fartele due domande...

Chiaro è che non ho tutta questa simpatia per i verdi di Brema. Anzi di base spero che facciano la fine del Messina o dei Glasgow Rangers.
Ma, sfortunatamente, non sono qui a sbabbelare sulle mie simpatie/antipatie calcistiche e non. Oggi mi trovo qui a scrivere di Herr Otto Rehhagel e della sua innata capacità di organizzare le nozze coi fichi secchi.

ogni riccio, un capriccio

Il Werder Brema non era mai retrocesso, ma anzi aveva anche messo in bacheca una Bundesliga e una Coppa di Germania, prima del 1980. E invece, proprio nella stagione in cui Rehhagel metteva in bacheca il suo primo trofeo, i verdi salutavano mestamente la Bundesliga per la prima volta.
Ma non crucciamoci troppo. Giusto il tempo di trascorrere un anno tra i cadetti e riuscirono a risalire con meno patemi della Sampdoria di Iachini (io ti vorrò sempre bene Beppe, sappilo).

La dirigenza del Werder, ritrovata la massima serie, decide così di affidarsi proprio a Rehhagel per cercare di ritrovare i fasti, o almeno la stabilità, degli anni passati.

Il sodalizio tra il club e l'allenatore di Essen si rivela duraturo ma soprattutto prolifico. Infatti Otto resterà al timone dei verdi di Brema per qualcosa come 14 stagioni, rimpolpandone in maniera sostanziale la bacheca e valorizzandone i giocatori.
A questo proposito si racconta che le due curve del Weserstadion di Brema, siano state edificate grazie ai soldi racimolati dalle cessioni di Rudolf Völler (detto Rudi) alla Roma nel 1987 e di Karl-Heinz Riedle alla Lazio nel 1993.
Nell’era Rehhagel il Werder vince due volte la Bundesliga (1987-88 e 1992-93), sfiorandola altre 4 volte. Ma sfiorandola davvero, sapete?
1982-83: a parità di punti, Werder secondo e Amburgo* primo per differenza reti sfavorevole;
1984-85: chiude secondo a 4 punti dal Bayern Monaco;
1985-86: continua la maledizione della differenza reti e a beneficiarne, alla faccia di Otto e dei suoi ragazzi, è ancora il Bayern;
1994-95: ancora secondo, stavolta dietro il Borussia Dortmund, per la bellezza di un punto.
Saranno due anche le Coppe di Germania conquistate, ai danni di Colonia e Rot-Weiss-Essen (la squadra del paese natale di Otto), al termine delle stagioni 1990-91 e 1993-94. Ma saranno altrettante anche le coppe sfuggite all'ultimo atto contro Borussia Dortmund, 1988-89, e l'anno seguente contro il Kaiserslautern.
A rimpinguare la bacheca del Werder ci sono anche tre Supercoppe di Germania (1988, 1989, 1993) strappate dalle mani di Eintracht Francoforte, Bayer Leverkusen e Bayern Monaco.

*Angolo curiositá: lo sapevate che l’Amburgo è l'unica squadra ad aver preso parte a TUTTE le edizioni della Bundesliga e per questo motivo è soprannominata il “Dinosauro”?
E pensate, strano ma vero, che nessun supporter dell'Amburgo ha creato la spilletta "Mai stati in B".

i tedeschi si riconoscerebbero ovunque

Anche in Europa, Otto e i suoi ragazzi, si costruiscono una reputazione di buon livello. Partecipano per sei volte consecutive alla Coppa Uefa e raggiungono per due volte la semifinale silurati una volta dal Bayer Leverkusen in uno scontro fratricida (annata 1987-88) e l'altra dalla Fiorentina di Baggio e Borgonovo (1989-90), che poi verrá “misteriosamente” sconfitta in finale dalla Juventus.
Le due partecipazioni in Coppa dei Campioni, invece, vengono frustrate per due volte dalla stessa squadra, all'apoteosi di due cicli vincenti: il Milan di Sacchi nel 1988-89 e il Milan di Capello nel 1993-94. L'onore è comunque salvo.
Menzione speciale merita ovviamente la Coppa delle Coppe che viene alzata dal Werder Brema il sei maggio 1992 contro il Monaco di Arséne Wenger nello stadio di Lisbona dopo una cavalcata che ha visto Otto e i suoi ragazzi eliminare nell’ordine Bacau, Ferencvaros, Galatasaray e Club Brugge. Le reti vengono siglate dal fido scudiero di Otto Rehhagel, con lui già ai tempi di Dusseldorf, Klaus Allofs e dal neozelandese Rufer.
Ad oggi questo è l’unico trofeo internazionale sollevato dai verdi.

ma quanto era bella la Coppa delle Coppe? 

Intermezzo acido: Monaco di Baviera

Alla conclusione della stagione 1994-95 Rehhagel è cercato dal club piú blasonato di Germania e non se la sente di dire di no. Per cui si accomoda sulla panchina bavarese del Bayern Monaco. Il feeling con Franz “die Kaiser” Beckenbauer non decolla e Otto viene esonerato poco prima del tramonto della stagione, non potendo gustarsi nè il trionfo in Coppa Uefa nè un onorevole secondo posto in campionato.
Per spiegare l'allontanamento di Otto dalla panchina del Bayern potremmo usare una frase che sono soliti utilizzare sia il mio compagno d'avventure del blog, sia Giampiero “Marisetta” Boniperti: “Vincere non è importante, è l'unica cosa che conta”.

Kaiserslautern: miracolo al Fruchthalle

I treni per Yuma passano una sola volta nella vita. Ma se non ti portano da nessuna parte o puoi ripartire e cercare altre mete o morire chiedendoti dov'è che hai/hanno sbagliato. Tertium non datur.
Così il buon Otto decide di accettare il disperato grido d'aiuto del Kaiserslautern e si presenta, con la sua consueta grinta, al capezzale di una delle grandi decadute del calcio tedesco. I rossi della Renania sono inspiegabilmente retrocessi nella Zweite Liga al termine di un'orrifica stagione 1995-96 e necessitano di un ottimo medico per guarirli.
Herr Rehhagel indossa il camice, porta il Kaiserslautern ad ammazzare il campionato cadetto e festeggia l'obiettivo minimo della stagione.
Poi comincia la stagione 1997-98 e l'idea è centrare una salvezza tranquilla con, magari, una qualificazione europea.
E invece... E invece per spiegare quanto accadde vado in prestito di parole da Zeman e dal suo splendido post su Archie Gemmill.
"Facile quindi dedurre la storia dei Rosso-Garibaldini, che vincono il campionato al primo tentativo e -tanto per gradire- in qualità di neopromossa, cosa che nella casistica delle imprese possibili si colloca tra "pace in medioriente" e "colleghi di lavoro simpatici".
Incredibile ma vero il Kaiserslautern di Rehhagel va in testa al campionato alla quarta giornata, dopo aver regolato a domicilio il Bayern Monaco di quell'eterno ragazzo sopravvalutato di Giovanni Trapattoni, e non la mollerà mai più.
Fu una stagione di grazia e di colpi di genio per tutti. Le paratissime di Reinke, le insospettabili geometrie di Ciriaco Sforza, i grappoli di gol di Olaf Marshall (21 in 24 presenze), la scoperta di Michael Ballack (un talentino che di lì a poco avrebbe preso per mano il calcio tedesco), il carisma di Andreas Brehme, le entracce di Schjønberg e Kadlec, le sfuriate di Kucka. Tutto sapientemente shakerato dal carisma e dell'acume di Herr Otto e servito in faccia agli avversari che non possono credere che il Maisterschaele venga alzato proprio dalla banda Rehhagel.

eventi improbabili, colorazioni incredibili, pettinature rivedibili

Nei due anni successivi arrivano due quinti posti e un quarto di finale di Champions League perso malamente contro il Bayern Monaco, che poi verrà giustiziato dal Manchester nell'indimenticata finale di Barcellona.
E così il tempo di Otto a Kaiserslautern finisce, lasciando ricordi dolci e un'aura miracolosa che ancora accompagna i racconti di quell'immaginifica stagione che vide il primo, e finora unico, trionfo di una neopromossa in Bundesliga.

UNA STORIA MESSA LI' TANTO PER FARE, ver. 2.0

Il locale si estendeva su due piani. Quello di sotto, più spazioso, regalava musica elettronica a volumi improponibili. Quello di sopra, imballato di sofà e divani, si beava con un sound lounge e aperitivi alla frutta. Lei stava appoggiata al bancone del piano terra e lo fissava da almeno due canzoni (e riconoscere due pezzi distinti di musica elettronica è sintomo di grande conoscenza o di profondo disagio mentale). Lui era in attesa del suo long-strong-drink a pochi metri da lei. Lei, con movimento felino, si avvicinò al suo orecchio e gli sussurrò: "Ti va una sveltina in bagno?".
Per quanto fosse improbabile, causa musica alta, lui riuscì a comprendere l'invito. La osservò, minuta, corvina, tremendamente sensuale e annuì fieramente distaccato.
"Ehi capo! Il drink!". Si voltò prese il bicchiere e la cercò nuovamente con lo sguardo. Ma lei non c'era più. Diede una lunga sorsata e provò a riflettere.
All'improvviso comprese. Finì il drink con un ultimo lungo sorso e si inerpicò tra la folla per salire le scale e raggiungere i bagni soprastanti.
Riuscì ad entrare nella zona adibita alle ragazze e aspettò.
Dopo 15 minuti buoni decise di darci a mucchio e che, probabilmente, la bellezza di prima era soltanto uno scherzo dei drink, delle luci e della musica alta.
Ridiscese le scale e la vide mentre, con aria corrucciata, si rimetteva la giacca e si preparava ad uscire. I loro sguardi si incrociarono e lei con un ghigno beffardo disegnò con la mano una L sulla fronte e scandì un labiale inconfondibile: Loser. Poi se ne uscì.
Lui si rimise a banco, ordinò un altro drink e si mise a ridere di gusto.

UNDERDOG

Prima che Angela Merkel andasse dal sindaco della Grecia e, a grandi linee, gli spiegasse che "o ci date tutto quello che avete o ti do' uno schiaffo" i rapporti tra teutonici ed ellenici non erano lo stesso una passeggiata di salute. Gli eccidi nazisti, per usare un eufemismo, non avevano lasciato dei ricordi gagliardi ecco.
Poi, per quel che può contare, nel 2001 la scarlancata nazionale di calcio della Grecia viene affidata al protagonista d'acciaio di queste righe.
A Herr Rehhagel viene chiesto semplicemente di salvare l'onore calcistico di una nazione che, dopo la sporadica avventura dei mondiali di USA '94, aveva fatto la fine del porco ad una grigliata. Semplicemente spolpato.
Otto forgia il gruppo su idee semplici (4-4-1-1 e via pedalare) e 4 uomini cardine: difesa accortissima e contropiede orchestrati principalmente dal "fu" perugino e romanista Traianos Dellas, dai centrocampisti Basinas e Zagorakis e dall'ex interista Karagounis.
Penso che sia chiaro a tutti che se questi sono gli elementi di spicco della nazionale l'unico approdo possibile dovrebbe essere il divano di casa o il banco del baretto. E invece... E invece niente.
Le prime due gare di qualificazione all'Europeo, in casa contro la Spagna e nell'inospitale Ucraina, si fregiano dello stesso risultato. 2-0 per gli avversari della Grecia e cammino parzialmente compromesso. Poi qualcosa accade e i blu di Atene cominciano a triturare gli avversari ad uno ad uno, mettendo in cascina sei vittorie consecutive tra cui il fondamentale successo fuori casa (griffato Giannakopolous) contro la Spagna che costringerà le furie rosse a disputare lo spareggio per poter arrivare in Portogallo e disputare gli Europei.

li hanno smarriti tutti

Otto e i suoi ragazzi vengono sorteggiati nel girone A coi padroni di casa del Protogallo, di nuovo la Spagna e la mai catalogabile Russia.
Credo che il più ottimista tra i sostenitori ellenici abbia commentato con un sobrio:"Rompete le righe, ognun per sè e dio per tutti!". Per dire del clima che aleggiava intorno alla Grecia, i bookmakers inglese quotavano a 100 un'eventuale vittoria della competizione e a 45 un eventuale passaggio del turno.

12 giugno 2004, Oporto, Portogallo-Grecia.
Clima da gran festa per i padroni di casa che, guidati dalla stella nascente di Cristiano Ronaldo, da Deco e dagli infiniti Luis Figo e Manuel Rui Costa, si preparano a sbranare in un sol boccone i malcapitati greci, sparring partner dell'evento. Inizio arrembante dei lusitani, ma dopo 7' Karagounis pesca il jolly da fuori area, concludendo un veloce ripartenza con una rasoiata che si infila nel sacco. 0-1. Poi, dopo un primo tempo all'insegna del "ma non dovevamo vincere facile?", il terzino Seitaridis si guadagna un rigore ineccepibile che Basinas trasforma. 0-2. Scene di sconforto e incredulità vera sugli spalti e in campo, dove i portoghesi non riescono bene a capire che cosa sia andato storto. A pochi spiccioli dalla conclusione dell'incontro Cristiano Ronaldo riesce a buggerare Nikopolidis, ma è troppo tardi. E' troppo tardi per sentirmi nuovo, tardi per sperare, è troppo tardi per cambiare ancora. (cit.)

16 giugno 2004, Oporto, Grecia-Spagna.
Altra gara dal pronostico a senso unico. Gli spagnoli hanno silurato la Russia all'esordio e sono pronti a staccare il pass per i quarti di finale con una gara d'anticipo e il primo tempo, firmato da un bel gol di Fernando "el moro" Morientes, sembra avallare le aspettative. Epperò...
Epperò in quel sedici giugno entra in scena uno dei protagonisti meno attesi di tutta la competizione: la sua maglia è bianca e azzurra e il suo nome è Angelos Charisteas. L'attacante del Werder Brema (raccontare queste storie è un pozzo senza fondo di richiami, cani che si mordono la coda e corsi e ricorsi storici) realizza il pareggio a metà ripresa e, complice la contemporanea vittoria del Portogallo sulla Russia, rimanda i verdetti all'ultima giornata.

20 giugno 2004, Faro, Russia-Grecia.
Come scritto sopra, la Russia è una squadra inclassificabile. Alterna sempre prestazioni ai limiti della perfezione a partite belle come una puntata di Colorado.
Nella fattispecie siamo nella giornata buona e in soli 17 minuti si trovano davanti di due reti (notevole il secondo gol di testa, in tuffo, da parte di tal Bulykin). Otto e i ragazzi non si scompongono, poichè anche in caso di sconfitta, restando permanente il risultato di 0-0 nella sfida tra Portogallo e Spagna, la qualificazione ai quarti di finale sarebbe assicurata. In ogni caso a fine primo tempo quel gran genio di Zisis Vryzas, il "bomberino" lanciato dal Perugia di Gaucci e Cosmi, trova la rete per dimezzare lo svantaggio. Rete che si dimostrerà fondamentale perchè il Portogallo batterà la Spagna e la Grecia riuscirà a qualificarsi ai danni delle 'furie rosse' in virtù della differenza reti.
A conti fatti una buona botta di culo.

25 giugno 2004, Lisbona, Francia-Grecia.
Mentre i cuginastri d'oltralpe già pontificavano su chi sarebbe stato meglio affrontare in semifinale, Otto Rehhagel catechizzava i suoi ragazzi come un novello Leonida prima delle Termopili. "Portiamoli sul terreno a noi più congeniale, spazi stretti, marcature ruvide,poche fighinate e, quando e se ne avremo la possibilità, facciamo loro male. Ora andate e divertitevi."
E gli ellenici si sono divertiti davvero! Primo tempo quasi incredibile con almeno 4 nitide palle gol non concretizzate e nella ripresa, dopo un qualche fisiologico tentativo della Francia, cross di Zagorakis e incornata vincente di Angelos Charisteas. Ancora lui!
Allez les blues! Allez à la maison!

come andrà a finire?

1 luglio 2004, Oporto, Grecia-Repubblica Ceca.
Succede che, nella semifinale degli outsider, la Grecia è molto più outsider della Repubblica Ceca. Sin dall'inizio i greci capiscono che sarà partita da uomini veri e non da ballerine (nonstante la presenza in campo del noto tuffatore Pavel Nedved) e non si fanno pregare. Usano molto spesso le cattive per fermare gli attacchi cechi e riescono, anche grazie alla traversa, all'imprecisione di Baros e ad un paio di interventi decisivi di Nikopolidis, a portare la partita ai supplementari. E qui succede l'irreparabile.
Apro una piccola parentesi. Conoscete la regola del silver gol? Se sì andate pure avanti, se no cliccate sul link apposito.
Ultimo minuto del primo tempo supplementare, corner per la Grecia. Si appresta a batterlo Tsiartas che esegue uno schema provato e riprovato in allenamento: palla sul primo palo nella speranza che qualcuno si inserisca e gonfi la rete. Beh quel qualcuno si chiama Traianos Dellas e, contro ogni pronostico e contro il buon senso, i ragazzi di Otto Rehhagel vanno a giocarsi l'ultimo atto di Euro 2004.

(Nato il) 4 luglio 2004, Lisbona, Portogallo-Grecia.
Non so in quanti tornei la partita di apertura sia coincisa anche con la partita di chiusura (leggasi finale), ma il caso ha voluto che il Portogallo avesse la sua rivincita contro i carneadi che li avevano scofitti all'esordio. Roba da matti, credo converrete con me.
Forti della lezione subita la prima volta, i portoghesi non danno alla Grecia la possibilità di passare la metà campo per i primi venti minuti e chiamano il brizzolato portiere Nikopolidis ad un paio di interventi di rilievo. Poi, quando sarebbe giunta l'ora di azzannare la preda, i lusitani gigioneggiano e si specchiano sovente, trovandosi anche molto belli, ma regalando la possibilità alla Grecia di serrare le fila dopo la buriana iniziale.
Così, sempre sullo 0-0, il secondo tempo comincia sulla falsariga del primo ma con meno convinzione e cattiveria da parte dei dragoni. Che prima sfiorano il vantaggio con Pauleta (attaccante triste che più triste non si può, che per me rimarrà sempre un mistero della fede) e poi capitolano su azione di calcio d'angolo. Il portiere Ricardo, l'eroe del quarto di finale contro l'Inghilterra (parò un rigore decisivo a mani nude e andò a calciare il seguente), esce completamente a cazzo e Angelos Charisteas -ancora lui!- la inzucca lemme lemme in rete.
Il risultato non cambierà fino alla fine e lascerà una nazione intera a piangere e chiedersi come sia stato possibile essere così minchioni e un'altra a festeggiare l'appuntamento con la storia.
In soldoni chi vince festeggia, chi perde spiega.

il miracolo è compiuto

Smaltita la sbornia da vittoria, Otto Rehhagel condurrà i greci ad un altro europeo (con risultati meno eclatanti, giocoforza, del precedente) e al mondiale in Sudafrica dove la Grecia troverà, contro la Nigeria, la prima e, finora, unica vittoria in un Campionato del mondo.
Dopo l'esperienza sudafricana Herr Otto lascerà la Grecia per ritirarsi a vita privata, ma la chiamata del derelitto Herta Berlino, nel 2012, gli farà cambiare idea anche se solo per mezza stagione.
Infatti il club capitolino, in condizioni finanziarie e di classifica vergognose, cercò di aggrapparsi all'ultimo totem del calcio tedesco che, seppur di un soffio (spareggio perso contro il Fortuna Dusseldorf, proprio la squadra con cui Rehhagel aveva vinto il suo primo trofeo), non riuscì nell'impresa.

Adesso Otto Rehhagel fa il pensionato e passa le giornate raccontando ai nipoti come un tempo si riuscivano a vincere campionati lontani da Monaco o da Dortmund e di come trasformò un'armata brancaleone nella squadra che mise in fila l'Europa.

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