CHI HA SBAGLIATO? PAGLIUCA? - довиђења VUJADIN

Non riesco ad essere un organizzatore troppo affidabile. Chi mi conosce lo sa e non mi manda a quel paese troppo di frequente. Almeno per questo motivo, s'intende.
Fatto sta che provo ad organizzare una gitarella fuoriporta per il 25 aprile con i Christians del sodalizio (anche conosciuti come Chè e Kiki) e le rispettive compagne/mogli. Il tutto consisteva nell'arrivare a Spilamberto (provincia di Modena) in tempo utile per vedere suonare un gruppo reggiano, i Gazebo Penguins.

questi menano forte.

Evidentemente qualcosa va storto e arriviamo, dopo aver raccattato il settimo incomodo Riccardo Cavani intento a scansare donne come fossero zanzare, a festa bella che finita.
Così decidiamo di riparare in un pub della ridente Spilamberto, pub che la Benny già conosceva e ben aveva recensito.
Mangiamo, beviamo e, contestualmente, di quando in quando si esce a far prendere aria grama ai polmoni. E, in uno di questi attimi, mi ritrovo con Chè a discutere di un annoso problema che ci affligge da poco: la comparsa dei primi capelli bianchi.
P.s. Sul perchè ne abbia discusso con Chè e non con Kiki è particolare che evito per amor di sodalizio.

Kiki, Chè e il sottoscritto: sodalizio, che supplizio.

Comunque. Chè racconta che la Benny gli ha trovato un paio di frecce d'argento nella chioma e lui, per credere alla notizia, l'ha costretta a strapparglieli. Mossa furba? Per la Vox Populi mica tanto: ad ogni capello bianco strappato, si vocifera, ne ricompariranno sette.
Dopo averlo perculato quel tanto che basta, io ho ribattuto spiegando, con la mia consueta brevità, le sensazioni che ho provato quel mattino di ottobre a Lisbona quando, rimirandomi per la millesima volta allo specchio, ho scorto un maledetto filo d'avorio spuntare dal mio crine.
“Santu – ha puntualizzato Chè – sembra ieri che avevo diciassette anni... mi è scappato un pezzo di vita. Adesso sono vecchio”.

"se avessi 50 anni..."

Per quanto possa essere assurdo, quest'ultima frase mi ha ronzato in testa come una miccia esplodendo solo quando la domenica, dopo un pomeriggio passato ad ascoltare la presentazione della tesi di Silvia, ho acceso la tv e messo sulla pagina 201 del televideo di Merdaset.
Scritta gialla su sfondo nero: È MORTO VUJADIN BOSKOV.
Silenzio. Scoramento. Tristezza.

Non ho bisogno di fare la dieta. Ogni volta che entro a Marassi perdo tre chili.

Ora, per voi, il suono dell'hardcore riavvolgiamo il nastro.
Ho cinque anni abbondanti e la voce di Bruno Pizzul si collega da Stoccolma, è il 1990 e la finale di Coppa delle Coppe dice Sampdoria-Anderlecht. È, a mia memoria, la prima volta che mia madre mi permette di stare sveglio oltre le 22. Il Doria, che già aveva attirato le mie simpatie (se non altro per il meraviglioso aspetto cromatico), vince 2-0 e io mi innamoro di un amore così profondo che mi ha portato ad essere partecipe per una vittoria 0-2 a Cittadella come per una sconfitta a Wembley (spoiler drammaticamente doveroso). È la Samp del meraviglioso capellone Vialli, del mio idolo incontrastato di sempre ROBERTO MANCINI, di Attila Lombardo, di Vierchowod, di Gianluca Pagliuca, di Toninho Cerezo, di Lanna, di Pellegrini, di Moreno Mannini... Era quella Sampdoria lì. E in panchina c'era questo vecchietto, che poi tanto vecchietto non era. Ma, e qui ritorno un attimo in tema, i capelli bianchi credo abbiano una fascinazione di un certo tipi sui bambini, o almeno su di me l'avevano.

CHE BELO!

Poi lo scudetto che ho vissuto un briciolo più consapevolmente, ma solo un briciolo eh. Ricordo che scrivevo sulla lavagna delle scuole elementari risultato, formazione e marcatori della partita della domenica. Perché mia madre mi abbia evitato intense sedute di psicologia infantile rimane un mistero. Ricordo Giulio Nuciari in Samp-Lazio-1-1, Marco Branca, la punizione velenosissima di Branco.
E questo signore che si faceva intervistare, che “Sampdoria è come bella ragazza, tutti volere dare bacio” o “Palla a noi giochiamo noi, palla a loro giocano loro”. Di quando “Palla entra se Dio vuole” e dell'immortale “Rigore è quando arbitro da, non quando guardalinee da”.
Sapeva quanto fosse difficile vincere dove non si è abituati a farlo.
Vujadin Boskov, che allenò il Real Madrid vincendo una Liga e sfiorando una Coppa dei Campioni, lo sapeva.
Spostava, o almeno cercava, di spostare la tensione altrove. Spesso ci riusciva, altre volte era molto più impegnato a tenere unito uno spogliatoio pieno di ragazzi che, lontano da Genova, avrebbero guadagnato e vinto molto, molto di più.
Per me era uno zio. Lo zio che ti fa ridere e che ti insegna come far passare la nottata. Lo zio che non ho mai avuto.
“Allenatori come gonne, un anno di moda quella corta, anno dopo dentro armadio”.

un omaggio sui generis

Poi Wembley. Una sconfitta tremenda.
In un documentario che mi passò un mio compagno delle superiori Boskov, con quel mezzo sorriso e gli occhi un po' lucidi, raccontava così: “Noi avuto tante palla-gol. E LucaViali, mio pupilo mio figlio, ha avuto palla-gol che è dificile se può sbagliare. E sbagliata. LucaViali”.
Onestamente, avendo visto quella partita almeno una ventina di volte, non saprei trovare un modo migliore per spiegare o per raccontare una situazione così drammaticamente bene.

Cose dell'altro mondo

C'è da dire che l'avventura di Boskov alla Sampdoria rischiò di interrompersi molto presto per la famosa sparata sul neo acquisto genoano Josè Perdomo, il cui modo di stare in campo venne derubricato alla voce quadrupede indisciplinato. Mantovani lo costrinse ad un rettifica forzata e così il sodalizio diventò leggenda.
Dopo Genova, Roma. Dove fece esordire Totti e forgiò Sinisa Mihaijlovic. Poi Napoli, ancora Sampdoria (in tempo per portare a casa la barca dopo la disastrosa esperienza Menotti) e Perugia. Il gioco del destino: in quel 1999 salvò il Perugia proprio a scapito della Sampdoria... Poi dicono che le cose succedono per caso...
In quei tempi perugini, intervistato da Franco Ligas, Boskov difese i suoi giocatori dalle accuse di scarsa precisione nel tiro in porta con un altro celeberrimo aforisma “Chi no tira, no sbaglia”.
Poi la nazionale slava all'europeo del 2000, l'incredibile pareggio nel derby con la Slovenia e un'altrettanto incredibile sconfitta contro la Spagna.

La Jugoslavia al riposo era sotto di 3 reti, al rientro in campo pareggiò e rischiò di vincere

Ma per me Vujadin Boskov rimane e rimarrà sempre il timoniere della squadra dei sogni di quando ero ragazzino. Un uomo buono e capace che si faceva rispettare con l'intelligenza e non con la violenza o l’intimidazione. Un uomo ancora vero in un mondo che stava già cambiando, per quel che riguarda il calcio, in vetrina per urlatori e tuttologi di 'stocazzo.


Perché invecchiare non credo sia trovare un qualche capello bianco o vedere/sentire il proprio corpo cadere lentamente a pezzi, ma vedere che persone che sono state importanti per te, quindi nella maggior parte dei casi più vecchie, muoiono. Se ne vanno. E, fino a che non starà a te, non le vedrai più. O non le vedrai più e basta.
Resta di loro, ed è il lascito più importante, quello che appunto ti hanno dato. Come e perché ti hanno segnato.
E a me il Labbro di Novi Sad ha acceso la fiamma di un calcio di cui adesso, purtroppo, non è rimasto nulla. Se per voi è poco, beh mi dispiace per voi.

Come avrebbe chiosato lui, “Noi siamo noi y loro sono loro”.


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